CLȎTURE DE L’AMOUR di PASCAL RAMBERT
Con Anna Della Rosa e Luca Lazzareschi
al Teatro Vascello di Roma
7 Aprile 2013 di
Laura Nanni
Un uomo e una donna su un palcoscenico che è un’ampia
stanza rettangolare vuota, bianca, come una sala prove.
C’è troppa distanza tra i due per dar luogo ad un
dialogo; la diagonale invisibile sulla quale viaggiano le parole tra loro, è
lunga circa 5 metri, forse di più.
Lui, Luca, lo vedo quasi di fronte a me, leggermente
di fianco; lei quasi da dietro, di profilo.
Quando lui comincia a parlare, non si ha idea di
quanto a lungo durerà ciò che è a tutti gli effetti, un monologo che procede
per più di 40 minuti.
Si rivolge alla donna, Anna, al suo amore, moglie e
madre dei suoi figli, che ha deciso di lasciare perché ha deciso di ‘chiudere’
questa relazione come se non fosse mai stata, perché tutto è ed è stato finzione,
perché lui non ha più nulla a che fare con la vita trascorsa fino a quel
momento con lei. Perché era come un’immensa ragnatela quella in cui si trovava.
Lei è impietrita, in piedi, lo guarda e lo ascolta
fino a che il suo corpo e il suo volto colpiti dalla violenza delle parole non
vacillano e si trasformano, contraendosi dolorosamente, ma senza cedere. C’è
una grande tensione, lui blocca e taglia ogni possibilità di risposta o di
reazione o di domanda da parte di lei.
Il suo discorso viaggia lontano dal sentire, dalle
emozioni, dalla vita vissuta e dall’esperienza del legame con la vita e con
l’interiorità della donna che lo ha amato e che lo ama, che ancora non sa in
quali abissi gelidi e solitari le parole del ‘suo’ amore vogliono condurla.
Lei non lo sa, lei era tutta immersa nella sua
esistenza, presa dalla sua vita con lui, nell’amore come nel lavoro svolto
insieme, presente nel corpo e nella mente; l’amore, il suo uomo e i figli, l’avevano
reso piena e intensa…Lei con la sua forza vitale, con la sua mente profonda,
aveva animato i momenti più freddi e senza visione, riuscendo a creare un’opera
d’arte anche da ogni momento quotidiano.
Invece… dal ‘suo amore’ arrivano questi colpi duri,
queste botte da incassare senza poter chiedere, senza poter rispondere perché
lui ha già deciso…ha chiuso, è tutto finito, non c’è niente più da dire…
E allora, arriva il suo momento di dire, perché non è così che si può chiudere, come
se non ci fosse nient’altro, come se qualcun altro potesse scrivere la parole
‘fine’, ‘chiuso’, sulla pienezza della sua esistenza.
Allora lei
prende la parola, risponde, parola per parola, colpo su colpo e la sua forza cresce,
è smisurata rispetto al suo esser lì, in quella stanza, in quella situazione. Lei ha una forza terribile che sembra faccia
ardere ogni offesa ricevuta, ogni parola che ha dovuto subire e che le ha tolto
ogni possibilità di continuare a credere e a vivere quella che era la sua vita.
Tutte le parole che lui ha utilizzato per seppellire
ogni emozione, ogni sensazione, ogni ragione, ogni ricordo, si rigenerano e si
rivoltano contro quel monologo che sembrava un discorso a cui nulla si sarebbe più
potuto obiettare.
La forza vitale delle emozioni profonde, la corporeità
che si fa esistenza ma che è in grado di andare oltre e di raccogliere ogni
pezzo, ogni granello delle esperienze della sua vita, perché nulla vada
disperso…tutto ciò rende lei così forte e potente che sembra divenire una
montagna.
E come su una montagna, lei sembra guardare in basso e
dominare le terre circostanti, dove ora si trova, un nuovo territorio, da
esplorare… nel quale ha già disinnescato tutte le mine che lui vi aveva
lanciato.
Nessun commento:
Posta un commento
Cosa ne pensi