domenica 22 dicembre 2013

BUON NATALE


Ci impegniamo..... di Bertolt Brecht


 


Ci impegniamo, noi e non gli altri,
unicamente noi e non gli altri,
né chi sta in alto, né chi sta in basso,
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo:
senza pretendere che gli altri si impegnino per noi,
senza giudicare chi non si impegna,
senza accusare chi non si impegna,
senza condannare chi non si impegna,
senza cercare perché non si impegna.
Se qualche cosa sentiamo di "potere"
e lo vogliamo fermamente
è su di noi, soltanto su di noi.
Il mondo si muove se noi ci muoviamo,
si muta se noi ci facciamo nuovi,
ma imbarbarisce
se scateniamo la belva che c'è in ognuno di noi.
Ci impegniamo:
per trovare un senso alla vita,
a questa vita
una ragione
che non sia una delle tante ragioni
che bene conosciamo
e che non ci prendono il cuore.
Ci impegniamo non per riordinare il mondo,
non per rifarlo, ma per amarlo.


mercoledì 18 dicembre 2013

Ma è l'amore la vera rivoluzione. Parola di un grande filosofo, Alain Badiou di Stuart Jeffries





A 75 anni il pensatore marxista scrive un libro inaspettato dove esalta l’impegno di coppia e la fedeltà: "Il sesso è consumo, il sentimento invenzione continua"






di Stuart Jeffries
"L’amore non è un contratto fra due narcisisti; è molto di più. È una costruzione che obbliga i partecipanti ad andare oltre il narcisismo. Affinché una storia d’amore duri, è necessario reinventarsi". Alain Badiou, 75 anni, ex maoista e sessantottino, e in Francia figura così controversa che la rivista Marianne gli ha dedicato un articolo intitolato "Badiou: l’astro della filosofia è un bastardo?", sorride nel soggiorno del suo appartamento parigino. "La gente è convinta che l’amore sia trovare la persona giusta e poi tutto andrà bene. Ma non è così. Richiede molto impegno. Ed è un vecchio a dirvelo".
Nel suo nuovo libro, Elogio dell’amore (tradotto in Italia da ed. Neri Pozza, 160 pagine, 12 euro), Badiou scrive: "Solo una volta ho rinunciato all’amore, il mio primo amore, e solo in seguito mi sono reso conto di avere fatto un immenso errore. Ho cercato di recuperare quel sentimento quando ormai era tardi, troppo tardi: la mia amata stava per morire. Ma con un’intensità e un senso di necessità fuori dal comune". Quella rinuncia e il tentativo di recupero hanno segnato tutte le relazioni sentimentali del filosofo: "Ho vissuto momenti drammatici e sono stato assalito dai dubbi, però non ho mai più ripetuto l’errore. Perché il sentimento provato per le donne che ho amato è durato per sempre".
Ma ha senso impegnarsi, in quest’epoca di piaceri preconfezionati e di amanti usa-egetta? "Risolvere i problemi esistenziali dell’amore è la grande gioia della vita" risponde lo scrittore. Poi lancia uno sguardo alla sua interprete, Isabelle Vodoz, seduta all’altro capo del tavolo, e con un sorriso afferma: "Quando si è innamorati, si prova un sentimento di serenità tale che sembra di essere in paradiso". Anche lei fa una risatina: "Non sono solo la sua traduttrice" dirà più tardi.
Penso alla distinzione descritta da Badiou in Elogio dell’amore. "Mentre il desiderio si focalizza sull’altro sempre in un modo un po’ feticistico, concentrandosi su particolari elementi come il seno, il sedere e il pene, l’amore è associato all’essenza dell’altro e si concentra sul momento in cui quest’ultimo fa irruzione con tutta l’anima nella nostra esistenza, che viene quindi sconvolta e trasformata".
In altre parole: l’amore è, per molti aspetti, il contrario del sesso. Secondo Badiou, l’amore è quello che avviene dopo l’irruzione casuale e sconvolgente nella nostra vita. Esprime il concetto in modo filosofico: "L’assoluta casualità di un incontro assume l’aspetto del destino. La dichiarazione d’amore segna la transizione tra caso e fato, ed è per questo che è così rischioso e causa una terribile ansia da prestazione". Il lavoro dell’amore consiste nello sconfiggere questa paura. Badiou cita Stéphane Mallarmé, per cui la poesia significava "sconfiggere il caso, parola dopo parola". Una relazione amorosa è simile: "È la casualità di un incontro che viene sconfitta giorno dopo giorno dall’invenzione di qualcosa che durerà" scrive Badiou.
Certo, con il suo elogio della fedeltà sembra un uomo fuori dal suo tempo. "Oggi a Parigi il 50 per cento delle coppie sta insieme non più di cinque anni" afferma. "Ed è triste, perché non credo che sappiano cosa sia la gioia dell’amore. Conoscono forse il piacere, ma la tesi di Lacan sul sesso è nota a tutti". Secondo lo psicoterapeuta Jacques Lacan, il rapporto sessuale non esiste. Lacan sosteneva che la realtà si colloca in una dimensione narcisistica, mentre i legami sono frutto dell’immaginazione. "In parte sono d’accordo. Se ci si limita al piacere, si resta in una dimensione narcisistica e non si entra in sintonia con l’altro, dal quale si cerca solo di trarre piacere".
Domanda: l’edonismo scatenato dagli eventi del Maggio francese, cui Badiou prese parte, non era incentrato sulla liberazione dalle convenzioni sociali? Com’è possibile che oggi tessa le lodi di nozioni borghesi, quali impegno e felicità coniugale? "Beh, concordo che il sesso debba essere svincolato dalla moralità. Non parlo contro la libertà di fare esperienze sessuali, come farebbe un vecchio rimbambito, però non è liberando la sessualità che si risolvono i problemi amorosi. Per questo propongo una nuova filosofia dell’amore, secondo la quale bisogna affrontare i problemi e impegnarsi per risolverli".
Ma, sostiene, schivare i problemi d’amore è esattamente quello che facciamo nella nostra società, avversa al rischio e "impegnofobica". Badiou è rimasto colpito dagli slogan del sito di incontri francese Méetic, come "trova l’amore perfetto senza soffrire» oppure «ama senza innamorarti". "Per me" dice "distruggono la poesia dell’esistenza. Cercano di sopprimere l’avventura dell’amore. La loro idea è quella di associare persone che hanno somiglianze in quanto a gusti, fantasie, tipologie di vacanze, e che vogliono lo stesso numero di figli. Méetic cerca di fare tornare in auge i matrimoni combinati: non dai genitori, ma dagli innamorati stessi".
Non è soddisfare una richiesta? "Certamente. Tutti desiderano un contratto che li protegga dai rischi. L’amore però è un’altra  cosa. Non si può comprare un’anima gemella. Il sesso sì, ma non l’amore di qualcuno".
Per Badiou l’amore sta diventando un bene di consumo. L’attivista no global francese José Bové ha scritto un libro intitolato Il mondo non è una merce. Il libro di Badiou, in un certo senso, ne è il seguito e avrebbe potuto essere intitolato "Neanche l’amore è una merce". Questo fa di lui un vecchio romantico? "Penso che il romanticismo sia una reazione contro il classicismo. Nel periodo romantico c’era un’esaltazione dell’amore, l’amour fou o amore folle, antisociale, contro i classici matrimoni combinati. In tal senso non sono né romantico né classico. Ritengo che l’amore sia un incontro e una costruzione. Si devono risolvere i problemi che una relazione amorosa comporta: decidere se vivere insieme oppure no, avere dei figli o meno, oppure cosa fare la sera, tanto per citarne alcuni".
Il nuovo libro sull’amore è un’applicazione della singolare filosofia di Badiou sul soggetto e della sua insolita concezione della verità esposta in libri incredibilmente ostici che trattano di matematica e utilizzano la teoria degli insiemi. Questi libri gli hanno dato la fama di grande filosofo.
La filosofia del soggetto di Badiou è un’elaborazione dello slogan esistenzialista di Jean-Paul Sartre "l’esistenza precede l’essenza" e incorpora un’ipotesi che sarebbe piaciuta al marxista Louis Althusser. Cos’è il soggetto per Badiou? "Simone de Beauvoir scrisse: 'Donna non si nasce, si diventa'. Io direi che non si è un soggetto o un essere umano, ma lo si diventa nella misura in cui si riesce a reagire agli eventi. Io ho reagito al ’68, ho accettato il mio destino romantico, mi sono interessato di matematica; tutti questi eventi hanno fatto di me quel che sono".
E conclude: "L’amore è l’esempio più chiaro di verità. Inizia con un incontro cui non si dà peso, ma solo più tardi ci si rende conto della sua importanza. Lo stesso avviene con la scienza: si scopre qualcosa di inaspettato, come le montagne sulla Luna, e poi ci si deve appellare alla matematica per trovare un senso. Questo è un processo di verità perché in ogni esperienza soggettiva è presente un valore universale. È una procedura di verità perché ha inizio dall’esperienza soggettiva, e poi assume valore universale".
© The Guardian, trad. Studio Brindani

Noam Chomsky – Le 10 regole per capire come i potenti ci ingannano

http://www.eticamente.net/11194/noam-chomsky-le-10-regole-per-capire-come-i-potenti-ci-ingannano.html




Avram Noam Chomsky è il più grande intellettuale vivente, o almeno così è come lo definisce il New York Times.
Nel 1957 pubblica il volume Syntactic structures (Le strutture della sintassi), che contiene in nuce la sua teoria rivoluzionaria sulla grammatica generativo-trasformazionale. Il 16 aprile 2004 ha ricevuto la Laurea honoris causa in Lettere dall’ateneo fiorentino, “quale riconoscimento allo studioso eminente nel campo delle scienze del linguaggio e delle capacità cognitive e all’intellettuale da sempre impegnato in difesa della libertà di pensiero”.
Dopo queste introsuzioni così importanti di questo personaggio, eccovi le 10 regole che i potenti usano, attraverso i grandi mezzi di comunicazione, per filtrare e far arrivare alla gente solo determinate informazioni o messaggi.
Conoscendo queste regole possiamo renderci conto di come le nostre menti vengono manipolate ogni giorno.

1 -La strategia della distrazione
L’elemento primordiale del controllo sociale  è la strategia della distrazione che consiste nel deviare l’attenzione del pubblico dai problemi importanti e dei cambiamenti decisi dalle élites politiche ed economiche, attraverso la tecnica del diluvio o inondazioni di continue distrazioni e di informazioni insignificanti.
La strategia della distrazione è anche indispensabile per impedire al pubblico d’interessarsi alle conoscenze essenziali, nell’area della scienza, l’economia, la psicologia, la neurobiologia e la cibernetica. Mantenere l’Attenzione del pubblico deviata dai veri problemi sociali, imprigionata da temi senza vera importanza.
Mantenere il pubblico occupato, occupato, occupato, senza nessun tempo per pensare, di ritorno alla fattoria come gli altri animali (citato nel testo “Armi silenziose per guerre tranquille”).
2 – Creare problemi e poi offrire le soluzioni.
Questo metodo è anche chiamato “problema- reazione- soluzione”. Si crea un problema, una “situazione” prevista per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si desiderano far accettare. Ad esempio: lasciare che si dilaghi o si intensifichi la violenza urbana, o organizzare attentati sanguinosi, con lo scopo che il pubblico sia chi richiede le leggi sulla sicurezza e le politiche a discapito della libertà. O anche: creare una crisi economica per far accettare come un male necessario la retrocessione dei diritti sociali e lo smantellamento dei servizi pubblici.
3 – La strategia della gradualità.
Per far accettare una misura inaccettabile, basta applicarla gradualmente, a contagocce, per anni consecutivi. E’ in questo modo che condizioni socioeconomiche radicalmente nuove (neoliberismo) furono imposte durante i decenni degli anni ‘80 e ‘90: Stato minimo, privatizzazioni, precarietà, flessibilità, disoccupazione in massa, salari che non garantivano più redditi dignitosi, tanti cambiamenti che avrebbero provocato una rivoluzione se fossero state applicate in una sola volta.
4 – La strategia del differire.
Un altro modo per far accettare una decisione impopolare è quella di presentarla come “dolorosa e necessaria”, ottenendo l’accettazione pubblica, nel momento, per un’applicazione futura. E’ più facile accettare un sacrificio futuro che un sacrificio immediato. Prima, perché lo sforzo non è quello impiegato immediatamente. Secondo, perché il pubblico, la massa, ha sempre la tendenza a sperare ingenuamente che “tutto andrà meglio domani” e che il sacrificio richiesto potrebbe essere evitato. Questo dà più tempo al pubblico per abituarsi all’idea del cambiamento e di accettarlo rassegnato quando arriva il momento.
5 – Rivolgersi al pubblico come ai bambini.
La maggior parte della pubblicità diretta al gran pubblico, usa discorsi, argomenti, personaggi e una intonazione particolarmente infantile, molte volte vicino alla debolezza, come se lo spettatore fosse una creatura di pochi anni o un deficiente mentale. Quando più si cerca di ingannare lo spettatore più si tende ad usare un tono infantile. Perché? “Se qualcuno si rivolge ad una persona come se avesse 12 anni o meno, allora, in base alla suggestionabilità, lei tenderà, con certa probabilità, ad una risposta o reazione anche sprovvista di senso critico come quella di una persona di 12 anni o meno” (vedere “Armi silenziosi per guerre tranquille”).
6 – Usare l’aspetto emotivo molto più della riflessione.
Sfruttate l’emozione è una tecnica classica per provocare un corto circuito su un’analisi razionale e, infine, il senso critico dell’individuo. Inoltre, l’uso del registro emotivo permette aprire la porta d’accesso all’inconscio per impiantare o iniettare idee, desideri, paure e timori, compulsioni, o indurre comportamenti.
7 – Mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità.
Far si che il pubblico sia incapace di comprendere le tecnologie ed i metodi usati per il suo controllo e la sua schiavitù.
“La qualità dell’educazione data alle classi sociali inferiori deve essere la più povera e mediocre possibile, in modo che la distanza dell’ignoranza che pianifica tra le classi inferiori e le classi superiori sia e rimanga impossibile da colmare dalle classi inferiori”.
8 – Stimolare il pubblico ad essere compiacente con la mediocrità.
Spingere il pubblico a ritenere che è di moda essere stupidi, volgari e ignoranti …
9 – Rafforzare l’auto-colpevolezza.
Far credere all’individuo che è soltanto lui il colpevole della sua disgrazia, per causa della sua insufficiente intelligenza, delle sue capacità o dei suoi sforzi. Così, invece di ribellarsi contro il sistema economico, l’individuo si auto svaluta e s’incolpa, cosa che crea a sua volta uno stato depressivo, uno dei cui effetti  è l’inibizione della sua azione. E senza azione non c’è rivoluzione!
10 – Conoscere gli individui meglio di quanto loro stessi si conoscono.
Negli ultimi 50 anni, i rapidi progressi della scienza hanno generato un divario crescente tra le conoscenze del pubblico e quelle possedute e utilizzate dalle élites dominanti. Grazie alla biologia, la neurobiologia, e la psicologia applicata, il “sistema” ha goduto di una conoscenza avanzata dell’essere umano, sia nella sua forma fisica che psichica. Il sistema è riuscito a conoscere meglio l’individuo comune di quanto egli stesso si conosca. Questo significa che, nella maggior parte dei casi, il sistema esercita un controllo maggiore ed un gran potere sugli individui, maggiore di quello che lo stesso individuo esercita su sé stesso.

giovedì 31 ottobre 2013

Un racconto tra i racconti: Sessanta centesimi di Laura Nanni




Sessanta centesimi

Sessanta centesimi un pacco di farina da mezzo chilo. I prezzi di questo market erano i più convenienti del quartiere.
Ahmed pensava a quanto pane poteva sfornare con tre pacchi di farina. In due avrebbero mangiato per più di una settimana.
Il roti[1] era così sottile: una palletta d’impasto di acqua e farina che stava in un pugno era sufficiente per farne uno. Una volta steso sulla tavola di legno, cuoceva in due minuti sulla piastra infuocata.
Mancavano l’olio di semi e la cipolla, di ginger gliene era rimasto un pezzetto.
Queste poche cose, rappresentavano l’essenziale per ricordare il sapore di quando stava a casa sua.
Tra qualche giorno sarebbe arrivato suo cugino Sahazad da Lahore. Immaginava già gli odori delle spezie che sarebbero venuti fuori dalla sua valigia.

Spintonato da dietro, Ahmed si allontanò dalla cassa. Qualcuno che non lo voleva neanche toccare lo aveva spinto con una gomitata nella schiena.
D’altronde sapeva di emanare un odore sgradevole. In questi ultimi giorni, da quando era arrivato, gli era stato impossibile farsi una doccia. Nello stabile dove aveva trovato posto per dormire, l’acqua non c’era.
Bisogna andare avanti dandosi una sciacquata veloce alla fontanella in strada; in fretta, nei momenti in cui non passava nessuno.
Ma era solo una situazione temporanea, questo era certo per Ahmed.
Non dubitava delle occasioni che gli si sarebbero presentate in questa città: per sistemarsi, trovare lavoro e un’abitazione dignitosa. Se lo aspettava, dopo aver affrontato quel lungo viaggio attraverso l’oceano che si era pagato con   i risparmi messi insieme con lavoretti occasionali e regalini di parenti.
Aveva, in fermento nella sua testa, tante possibili attività da inventare, ipotesi che doveva mettere a fuoco. Poteva contare anche su un diploma e sull’inglese come seconda lingua.
La busta di plastica con la farina, l’olio e le cipolle non si prendeva bene per i manici, Ahmed li annodò, così il prezioso contenuto era al sicuro.
Quattro euro e ottanta centesimi il costo totale: il prezzo per sentirsi a casa almeno per qualche ora.
Poi c’era la durata della preparazione, la cottura e infine l’atteso momento di mordere il roti, quel pezzo di storia della sua vita calda… masticarla con la calma dentro, con gli occhi che sarebbero andati dal viso dell’amico Raja alle sue mani, mentre stringono il pane denso di emozioni. In silenzio, perché il cibo è sempre un dono e bisogna ricordarlo soprattutto in certi momenti.
Dopo il pasto, le parole mescolate alla farina sarebbero andate in giro per un po’ nella stanza, fluttuando tra gli odori.

Ahmed percorreva con passo calmo la strada per arrivare al suo attuale domicilio. In fondo gli ci volevano solo trenta minuti per arrivare, quando andava nella zona dei negozi preferiva camminare, non prendeva l’autobus.
La busta non pesava troppo, solo tre pacchi di farina, un litro di olio di soia e un chilo e mezzo di cipolle, rosse. Avrebbe preferito quelle dorate che hanno un aroma più forte, quello che un po’ assomiglia all’aroma delle cipolle del Pakistan.
Era la fragranza intensa e dolce, insieme al profumo del curry che lo avevano accompagnato fin dalla nascita e che avevano nutrito la sua pelle. Forse per quello qui gli dicevano che puzzava.
La farina che aveva comprato era troppo bianca, ma era quella che più si trovava.
“Quello che conta è la cura nella preparazione” si diceva, convinto che il rito della preparazione avrebbe conferito al cibo il sapore atteso.
Ogni gesto era conseguente a quello precedente, senza movimenti inutili, solo le azioni necessarie: è il ritmo, la cadenza delle mani che impastano farina e acqua, la misura della palla di farina da mettere a riposare almeno per un’ora… queste erano le cose più importanti.
La farina asciutta sparsa sulla tavola di legno deve essere tutta utilizzata per fasciare i pezzi di impasto, per non farli incollare, neppure una minima quantità deve andare persa.

Non era ancora buio, la cabina sulla strada era funzionante. La mente alla famiglia lontana, il desiderio di sentire le affettuose voci lontane, è grande. Nella tessera telefonica internazionale c’era ancora credito. Sapeva che l’internet-point in quel quartiere non c’era, era meglio fermarsi un momento qui, il tempo di una telefonata.
Ahmed uscì dalla cabina e proseguì a camminare, ma la sua mente era ancora a quella casa bianca dove era cresciuto e alle ultime parole che la madre gli aveva detto:” Quando ti sei sistemato, ritorni a trovarci? Tua sorella ti aspetta… ricordati delle fotografie così posso vedere come stai!...”

Grida, risate, bastone, colpi di metallo, pugni, calci… facce istupidite da menti senza idee…
La schiena si piega, una gamba non regge più l’altra che si frantuma, un turbine nella testa, lacrime… dolore cupo, ancora grida, ma le sue questa volta… Grida, grida più forte…
La sirena della polizia, come un fulmine fa sparire chi c’era.
Ahmed è accartocciato sul marciapiede con la busta della spesa stretta vicino al suo corpo.
La mano e un pezzo d’asfalto sul lato di quel corpo immobile, sono coperti dalla densa polvere bianca della farina, uscita dalla busta della spesa con i manici ancora attorcigliati alle dita della mano.
Mentre cadeva a terra Ahmed pensava che non aveva potuto parlare col padre, che doveva richiamarlo per dirgli che stava bene. Non dovevano preoccuparsi, qui le possibilità ci sono, il lavoro sarebbe arrivato presto…


[1] Il pane indiano, una specie di focaccia sottile, senza lievito

lunedì 28 ottobre 2013

Le città intelligenti


Douglas Schuler: l’intelligenza civica della Società: una nuova visione del mondo
L'Intelligenza civica è un concetto applicabile a gruppi di persone perché è a questo livello che si forma l'opinione pubblica e si prendono decisioni o almeno s’influenzano. L’intelligenza civica si applica a tutti i gruppi, formali ed informali, che stanno lavorando per raggiungere obiettivi civici come il miglioramento ambientale o la non violenza sulle persone. Questa visione è legata a molti altri concetti che al momento stanno ricevendo tanta attenzione inclusa l'intelligenza collettiva, l'intelligenza distribuita, la participatory democracy, i nuovi movimenti sociali, i processi collaborativi di problem-solving e il Web 2.0.
Douglas Schuler ha partecipato al convegno “Smart City Umane e sostenibili: condivisione, collaborazione, innovazione comunitaria del 17 Ottobre 2013.
28/10/2013 Giulia Salucci

 
http://smartinnovation.forumpa.it/story/74518/douglas-schuler-l-intelligenza-civica-della-societa-una-nuova-visione-del-mondo?utm_source=SMARTINNOVATION&utm_medium=2013-10-28

domenica 29 settembre 2013

A LAVORO!!!!! SI PARTE CON LE ATTIVITA'!

Siamo in fermento nonostante le notizie negative ci bombardino e sembrano fatte ad hoc, per scoraggiarci e non farci prendere iniziative... Ma non bisogna farsi turbare e paralizzare.
Il movimento è VITA!
Prendiamo la nostra vita e quella del Mondo con la responsabilità di chi la ama e se ne prende cura, possiamo fare molto!

lunedì 2 settembre 2013

C'era una volta il pianeta Terra... di Gino Strada



 
“C’era una volta un pianeta chiamato Terra. Si chiamava Terra anche se, a dire il vero, c’era più acqua che terra su quel pianeta.
Gli abitanti della Terra, infatti, usavano le parole in modo un po’ bislacco. Prendete le automobili, per esempio. Quel coso rotondo che si usa per guidare, loro lo chiamavano “volante”, anche se le macchine non volano affatto! Non sarebbe più logico chiamarlo “guidante”, oppure “girante” , visto che serve per girare?
Anche sulle cose importanti si faceva spesso molta confusione. Si parlava spesso di “diritti”: il diritto all’istruzione per esempio significava che tutti i bambini avrebbero potuto (e dovuto!) andare a scuola.
Il diritto alla salute poi, avrebbe dovuto significare che chiunque, ferito, oppure malato, doveva avere la possibilità di andare in ospedale.
Ma per chi viveva in un paese senza scuole , oppure a causa della guerra non poteva uscire di casa, oppure chi non aveva i soldi per pagare l’ospedale ( e questo, nei paesi poveri, è più la regola che l’eccezione ) , questi diritti erano in realtà dei rovesci : non valevano un fico secco.
Siccome non valevano per tutti ma solo per chi se li poteva permettere , queste cose non erano diritti : erano diventati privilegi, e cioè vantaggi particolari riservati a pochi…
A volte, addirittura , i potenti della terra chiamavano “operazione di pace” quella che , in realtà, era un’operazione di guerra: dicevano proprio il contrario di quello che in realtà intendevano.
E poi, sulla Terra, non c’era più accordo fra gli uomini sui significati : per alcuni ricchezza significava avere diecimila miliardi, per altri voleva dire avere almeno una patata da mangiare.

Quanta confusione! Tanta confusione che un giorno il Mago Linguaggio non ne poté più.
Linguaggio era un mago potentissimo, che tanto tempo prima aveva inventato le parole e le aveva regalate agli uomini.
All’inizio c’era stata un po’ di confusione perché gli uomini non sapevano come usarle, e se uno diceva carciofo, l’altro pensava al canguro, e se uno diceva spaghetti l’altro intendeva gorilla, e al ristorante non ci si capiva mai.
Allora il mago Linguaggio appiccicò ad ogni parola un significato preciso, cosicché le parole volessero dire sempre la stessa cosa, e per tutti.
Da allora il carciofo è sempre stato un ortaggio e il gorilla un animale peloso, e non c’era più il rischio di trovarsi per sbaglio nel piatto un grosso animale peloso, con il suo testone coperto da sugo di pomodoro.
 
Questo lavoro, di dare alle parole un significato preciso, era costato al mago Linguaggio un bel po’ di fatica.
Adesso, vedendo che gli uomini se ne infischiavano del suo lavoro, e continuavano ad usarle a capocchia, decise di dare loro una lezione.
“Le parole sono importanti – amava dire -, se si cambiano le parole si cambia anche il mondo, e poi non ci si capisce più niente .”.
Una notte, dunque, si mise a scombinare un po’ le cose, spostando una sillaba qui, una là, mescolando vocali e consonanti, anagrammando i nomi. Alla mattina, infatti, non ci si capiva più niente.
A tutti gli alberghi di una grande città aveva rubato la lettera gi e la lettera acca, ed erano diventati…alberi! Decine e decine di enormi alberi, con sopra letti e comodini e frigobar, e i clienti stupitissimi che per scendere dovevano usare le liane come Tartan.
Alle macchine aveva rubato una enne, facendole diventare macchie, e chi cercava la propria automobile trovava soltanto una grossa chiazza colorata parcheggiata in strada.
Alle torte, invece, aveva aggiunto una esse, ed erano diventate tutte … storte, e cadevano per terra prima che i bambini se le potessero mangiare. Erano talmente storte che non erano più buone nemmeno per essere tirate in faccia.
Nelle scuole si era divertito ad anagrammare, al momento dell’appello, la parola presente, e se prima gli alunni erano tutti presenti, ora erano tutti assenti, e le maestre scappavano via terrorizzate.
Poi si era tolto uno sfizio personale: aveva eliminato del tutto la parola guerra, che aveva inventato per sbaglio, e non gli era piaciuta.
Così un grande capo della terra, che in quel momento stava per dichiarare guerra, dovette interrompersi a metà della frase, e non se ne fece nulla.
Inoltre aveva trasformato i cannoni in cannoli, siciliani naturalmente, e chi stava combattendo si ritrovò tutto coperto di ricotta e canditi.
Andò avanti così per alcuni giorni, con le scarpe che diventavano carpe e nuotavano via, i mattoni che diventano gattoni e le case si mettevano a miagolare, il pane che si trasformava in un cane e morsicava chi lo voleva mangiare.
Quanta confusione! Troppa confusione e gli uomini non ne potevano più.
Mandarono quindi una loro delegazione, a chiedere che rimettesse a posto le parole, e con loro il mondo.
“E va bene – disse Linguaggio – ma solo ad una condizione: che cominciate ad usare le parole con il loro giusto significato.
I diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti altrimenti chiamateli privilegi. Uguaglianza deve significare davvero che tutti sono uguali, e non che alcuni sono più uguali di altri. E per quanto riguarda la guerra…”.

“Per quanto riguarda la guerra – lo interruppero gli uomini – ci abbiamo pensato…Tienitela pure, è una parola di cui vogliamo fare a meno .”.

( Gino Strada)