MIGRANTI
Ha
26 anni, di origini marocchine, è arrivata a Catania da piccola: da lì
aiuta in modo volontario migliaia di migranti a sopravvivere al viaggio
della disperazione nel Mediterraneo e a non cedere al racket degli
'scafisti di terra'. Anche per le autorità e per Mare nostrum è un punto
di riferimento oggi insostituibile, anche se non l'hanno mai incontrata
ufficialmente
Se le persone che viaggiano con i barconi della morte nel Mediterraneo hanno un angelo, il suo nome è Nawal.
Se i funzionari dell’Operazione Mare nostrum e le Capitanerie di porto
di tutto il Sud Italia devono ringraziare qualcuno per facilitare il
loro compito, ovvero il salvare più vite possibili (tante, almeno 120
mila dall'ottobre 2013, ma purtroppo non tutte: le stime parlano di
duemila tra morti e dispersi, tra cui il caso eclatante del naufragio del 2 agosto 2014,
con 280 persone che mancano all'appello, e del 27 agosto, dove i
dispersi sono 200), devono dire grazie a Nawal. Se noi giornalisti
possiamo fare il nostro mestiere raccontando per filo e per segno quello
che accade superando anche i silenzi e le attese delle risposte
istituzionali, lo dobbiamo a persone come Nawal.
Chi è Nawal? Una ragazza, una donna, di 26 anni. Che di cognome fa
Soufi, è nata in Marocco ma fin da piccola vive a Catania, sotto l’Etna:
ha conservato la lingua materna araba e le ha affiancata un italiano
perfetto, appreso sui banchi di scuola. Attiva nel sociale da anni, fin
dalla scorsa primavera Nawal è onnipresente per dare una mano ai profughi, siriani in particolare, che passano dalla sua città ma non solo:
è in stazione dei treni ad accogliere chi arriva dai centri di prima
accoglienza e vuole raggiungere il Nord Europa per chiedere asilo lassù,
accompagna alle visite mediche le persone che ne hanno bisogno, aiuta
nell’accoglienza anche chiedendo a parenti e amici quando i posti nelle
strutture del territorio non bastano più, e nei casi più drammatici si
reca assieme ai parenti a riconoscere le salme dei corpi recuperati
senza vita dal mare, come accade quando la raggiungiamo al telefono. “E’
un disastro, una tragedia dopo l’altra. Non dormo la notte, ma se penso
alle centinaia di persone che incontro ogni giorno dopo essere fuggite
dalla guerra, mi dico che è impossibile fermare quello che sto facendo”.
Per essere sempre ‘a disposizione’ (dei profughi, che già dalla
partenza hanno il suo cellulare e chiamano lei per lanciare un Sos, come
successo oggi in questo link, di Mare
nostrum, che di recente per la sua autorevolezza l’ha addirittura
inserita nella task force dei mediatori e traduttori, ma senza
riconoscerle alcun ruolo ufficiale, figurarsi un compenso) ha
messo in stand by ogni altro aspetto della sua vita da studente e,
nell’estate più tragica di sempre per le acque del Mar Mediterraneo, non
si è concessa un solo giorno di vacanza.
È determinata Nawal, il fisico longilineo va di pari passo con
uno spirito mai domo, che urla nei megafoni delle piazze l’assurdità
delle guerre assieme alle responsabilità della Fortezza Europa dopo anni
di respingimenti in mare e incapacità di arginare il business dei
trafficanti di uomini, in Libia come in Egitto. Le arrivano video
strazianti, prove inconfutabili dell’efferatezza degli scafisti, lei fa
da cassa di risonanza: “li metto su facebook perché tutti
possano vedere quello che accade, così come ho diffuso tutorial che
spiegano come comportarsi in ogni momento del viaggio”, spiega. Video
che vengono condivisi migliaia di volte, così come sono quasi migliaia
le persone che seguono la sua pagina pubblica (scritta soprattutto in
arabo) Nawal Syriahorra Sos,
dove Syriahorra sta per ‘Siria libera’, come la vorrebbe lei e gran
parte della gente in fuga (in tre anni e mezzo di guerra tra il regime
di Assad e le fazioni ribelli, tra i 180mila morti e i dieci milioni di
profughi metà della popolazione siriana ha lasciato le proprie case). È
tramite lei che vediamo le tremende immagini di passeur senza
scrupoli o umanità che lanciano bambini, forzando così i genitori a fare
lo stesso, da una nave all’altra tra l’Egitto e l’Italia in attesa di
raggiungere un ‘buon numero’ di passeggeri per andare incontro alle navi
di Mare nostrum. Ancora, è tramite un video diffuso pochi giorni fa che
vediamo come i funzionari, in questo caso maltesi, obbligano con la
violenza i profughi a lasciare le proprie impronte digitali: “avevo
segnalato io l’imbarcazione all’Italia dopo aver ricevuto la chiamata di
uno dei passeggeri, mi hanno detto che era in acque maltesi e quindi è
intervenuta la Guardia costiera di Malta portandoli sull’isola, da una
parte c’è il sollievo per il salvataggio dall’altra l’angoscia per come
vengono trattati”, sottolinea commossa Nawal.
Gran parte del suo impegno quotidiano sta anche nel non far cadere i
profughi arrivati a Catania tra le grinfie di chi se ne vuole
approfittare, “’scafisti di terra’ che chiedono loro 500 euro a testa
per un passaggio da Catania a Milano” (dai quali, tra l'altro, non sono
mancate le minacce), nel raccogliere le segnalazioni delle famiglie che
non trovano un proprio caro nella speranza, spesso vana, che venga
ritrovato in un altro centro di accoglienza. “Ogni volta che parte un
treno per il Nord Italia, segnalo ai contatti a Milano il numero di
quelli che sono saliti, per non perderne neanche uno”, sottolinea Nawal.
Neanche uno: ogni vita, ogni persona che ce la fa, è una gemma di
speranza che in qualche modo ridà dignità a chi è stato inghiottito dal
mare o annientato da sole e stenti.
Lascia sempre uno dei suoi cellulari accesi, Nawal. “Ricevo gli Sos a ogni ora del giorno e della notte, come posso spegnerli?”,
chiede. È sempre disponibile, per tutti. Quando i volontari delle
associazioni milanesi (che in Centrale, spalla a spalla con i funzionari
comunali, sono anch’essi più che ammirevoli nell’aiutare i profughi)
fanno sapere a Nawal che un treno è arrivato e le persone sono state
prese in consegna, lei tira un sospiro di sollievo. Che le permette di
andare avanti, continuando un’opera che forse, un giorno, le verrà
riconosciuta pubblicamente, “anche se a me per ora bastano i sorrisi dei
bambini, gli abbracci della gente”. Al Festival internazionale del
cinema di Marzamemi, a fine luglio, è stata premiata come ‘Donna di
frontiera’. Meriterebbe ancora di più. Ma soprattutto sarebbe
necessario, oggi più che mai, che persone come lei arrivino a essere il
fiore all’occhiello delle istituzioni, non un sostituto,
guidato ‘solo’ da tanta buona volontà: perché se Nawal si dovesse
ammalare, o anche solo stancare, nella gestione dell’accoglienza dei
migranti in fuga dalle guerre rimarrebbe un vuoto incolmabile. Anzi,
inaccettabile.
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