E’ dalla vita che impariamo a morire, lasciando cadere – per far morire – ciò che è inessenziale.
E’ dalla morte e dalla vita che impariamo ad amare. Ho compreso profondamente che la morte è grande maestra, o almeno essa lo è stata per me.
Chi non viene toccato e trasformato dalla morte vuol dire che è insensibile, a diversi livelli, anche all’amore, che è insensibile in ultima analisi alla vita nella sua sacralità.
Ho imparato a diffidare categoricamente di coloro che di fronte alla morte – di un caro, di qualcuno in prossimità – non ne siano uscite trasformate minimamente in qualche aspetto della propria vita, di una qualche propria dimensione interiore, che non abbiano acquisito una maggiore tenerezza e sensibilità nei confronti del fenomeno della vita, nei confronti dell’altro e di se stessi.
E’ dalla morte che ho imparato ad amare di più, ad esprimermi al meglio fin quando c’è vita.
Nel caso della morte fisica, quando l’altro muore, la domanda che evochiamo verso l’altro non riceve più una risposta, non vi è un eco: essa va a sbattere come contro un muro, indietro non ritorna nulla, nè echi, nè tantomeno risposte fatte di parole, di sguardi. E’ questa la morte: una risposta non data, una risposta non ricevuta ad una domanda, ad un appello, che inviamo all’altro. Morte è una mancata risposta all’appello che la vita ci fa di diventare la “pianta” che siamo…
La vita era in piena dentro di me, ma ho avuto terrore di subire quella che non era vita.
Perciò allontanai da me le riserve che mantenevo nei confronti della vita, inclusa quella interiore, e soprattutto nei confronti degli altri, in particolare verso le persone a cui più mi sentivo legato.
Fintanto che siamo vivi, fintanto che l’altro è vivo e io sono vivo, abbiamo l’opportunità meravigliosa di percepire il suono della sua voce, di toccare la sua pelle, di abbracciarlo, di vedere la luce che brilla negli suoi occhi così come nei nostri: già questo è miracolo sempre nuovo.
La vita è davvero breve e soprattutto imprevedibile per poter lasciare eccessivo dominio all’inespresso. La morte, a tutti i suoi livelli, soprattutto la morte fisica di un altro, ci insegna che oggi, qui ed ora, possiamo esprimerci al meglio, e che non vi è nessuna certezza che potremmo farlo anche domani.
Comportarci come se fossimo morti è il peccato più grande che possiamo mai commettere.
Tutte quelle barriere, quelle distanze, quegli spazi e quei tempi che manteniamo sospesi tra me e la vita, tra me e l’altro, sono tutti elementi che ho deciso di lasciare alla morte, perché è alla morte che vanno lasciate queste cose. Non aspettiamo altro che vivere una vita che sia piena di nutrimento per l’anima, di mangiare letteralmente tutte intere le emozioni, di vivere di sentimenti che siano in corrispondenza con la propria interiorità. Abbiamo bisogno di amare e di essere amati, ma troppo spesso abbiamo paura di entrambi; abbiamo paura di essere vivi. Non di rado si ha paura di vivere. E così produciamo in noi quelle che sono vere e proprie morti, lutti interiori. I lutti interiori sono le immagini di quegli orizzonti di vita che non stiamo vivendo, che abbiamo soppresso, sono quegli abbracci e quell’affetto che prendono forma in noi ma che non doniamo, sono le parole pregne d’amore che, sorgive, come fiori in primavera, vogliono nascere dalla nostra bocca per arrivare altrove, per arrivare al cuore di altri…ma che abortiamo.
Siamo dei Puer Aeterni quando ci comportiamo con la vita come se fossimo immortali. E’ questo che mi ha insegnato la morte, o meglio, è questo che sono riuscito a comprendere da essa.»
(Emanuele G. Casale , Pescara 2/1/2014. Registrato con Licenza CC – Creative Commons .
Quest’opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione 3.0 Unported.)
«Proverai la gioia delle piccole cose solo se avrai accettato la morte. Se invece ti guardi intorno avidamente in cerca di tutto ciò che potresti ancora vivere, allora nulla sarà mai grande abbastanza per il tuo piacere, le piccole cose che ti circondano non ti daranno più gioia. Contemplo perciò la morte perché essa mi insegna a vivere.»
(C.G.Jung – Libro Rosso)
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